Tubetti con le cozze alla tarantina

0
5631

Siamo nel VII secolo d.C. quando un vescovo cristiano proveniente dall’Irlanda fece tappa nel sud dell’Italia risalendo la costa jonica, si fermò a Taranto e in questa città, famosa nei secoli per il suo clima e il Golfo pescoso, morì l’otto marzo del 685, non prima, secondo la tradizione, di aver compiuto molti miracoli.

Fra questi spicca la leggenda che diede origine ai citri del Mar Piccolo, le polle di acqua dolce che sgorgano nel mare salato e rendono fertile e facile la coltura dei mitili ovvero delle cozze: per calmare una tempesta, Cataldo gettò in mare il suo anello pastorale dando il nome a quella che è la sorgente più grande e profonda, “l’anello di San Cataldo” appunto.

La molluschicoltura è la produzione principale relativamente al settore dell’acquacoltura nazionale e si basa soprattutto sulle coltivazioni di Vongola Verace (Tapes philippinarum) e di cozza o mitilo (Mytilus galloprovincialis). L’allevamento delle cozze è praticato off shore e in zone costiere famose fra le quali Chioggia, nella Laguna veneta, il Golfo di Trieste e il Golfo di Taranto.
La mitilicoltura nella Città dei Due Mari è sempre stata un’attività principe e lo è tutt’ora, nonostante le difficoltà quasi insormontabili causate dalle incombenti attività industriali che insistono sull’area cittadina.

È di gennaio 2016 la notizia dello stanziamento da parte della Regione Puglia di un milione di euro a sostegno della molluschicoltura, in particolare per quelle aree colpite da inquinamento e dal surriscaldamento delle acque, altro fenomeno che già da tempo sta mutando la pescosità dei nostri mari in tutta Italia. Di fatto, dal 2011, nel I° Seno del Mar Piccolo non è più possibile allevare alcunché, ed alla città sono rimasti il II° Seno e la zona Tarantola, nel Mar Grande, individuata da tempo per ovviare ai problemi causati dall’inquinamento e dall’innalzamento della temperatura delle acque marine.

Se c’è un piatto che celebra il legame con questo mondo bello e martoriato, non può che essere i tubetti con le cozze alla tarantina. Né minestra né pastasciutta, consistenza, sapore e profumo sono fonti di gioia e quel pizzico di nostalgia che serve a ricordare momenti speciali, poiché è un piatto che sovente viene preparato in famiglia, spesso curato da mani maschili di zii, nonni, padri.

Perciò, procuratevi un chilo di cozze (in rete, con la loro bella targhetta che indica la zona di provenienza e la data di raccolta e di confezionamento che sono indice di una corretta stabulazione), 400 grammi di tubetti (il formato di pasta conosciuto come “ditali”) preferibilmente lisci, ma possiamo accordarveli anche rigati, 700 grammi di pomodori per la salsa, aglio, olio evo e prezzemolo, sale e pepe; non serve altro, se non quattro commensali “canaruti”.

Tradizione vuole che le cozze siano immerse in acqua fresca affinché possiate eliminare quelle che rimangono a galla (se non volete sgusciarle da crude, dovrete lavarne bene i gusci, quindi munitevi di una paglietta di acciaio, ma è tutto un altro sapore), eliminate il bisso tirandolo con forza verso la punta, quindi, con un coltello affilato e appuntito (quello pugliese specifico si chiama grammedd’, grammella) aprite le valve dopo aver fatto leva sulla cozza con pollici e indici per creare una fessura tale da infilare la grammella e aprire la cozza.

Aprite le cozze sopra un colabrodo a maglie strette appoggiato su di un recipiente per raccogliere l’acqua contenuta all’interno della valva, acqua che, opportunamente filtrata, servirà da liquido di cottura (limitate l’uso del sale, quest’acqua ha un sapore e una sapidità tale che usare troppo sale è un gran peccato). Cercate di staccare il frutto dal guscio senza danneggiarlo.

A parte preparate la salsa di pomodoro e, sempre a parte, soffriggete l’aglio con l’olio e parte delle cozze sgusciate. Infine, unite il soffritto di cozze, la salsa e le restanti cozze con metà del liquido filtrato. Il resto dovrete usarlo nell’acqua di cottura della pasta. Il sugo non deve essere né brodoso né asciutto, ma lento a sufficienza da evocare con forza il profumo del mare.
Unite i tubetti al sugo con le cozze e aggiungete un’allegra spolverata di pepe e prezzemolo tritato (si usa spesso anche la parte più tenera dei gambi, non solo la foglia, perché sprigiona un aroma più intenso).

Ricavare il frutto senza aver fatto aprire i gusci col calore è più laborioso, ma è un momento conviviale importante nella preparazione di questo piatto, perché all’apertura delle cozze ancora crude, il profumo invitante e un bel bicchiere di vino bianco freddo accrescono la chiacchiera, l’appetito, tanto amore e ricordi indimenticabili.

“A’ ccasə də cannarutə ‘ngə vonnə bənədəzziunə”

Aleksandra Semitaio

SHARE
La redazione di Gusto News

NO COMMENTS

LEAVE A REPLY