In un contesto di euforia legato alla partenza del Vinitaly 2016, c’è un valore aggiunto che coloro che si occupano a vario titolo di alimentazione (di cibi e bevande) scoprono presto: la comprensione di quanto sia importante alimentarsi e bere con moderazione proprio per godere al meglio dei sapori e della qualità di certi prodotti enogastronomici.
Di contro, viviamo in una società che spesso si interroga sui benefici di certi tipi di alimentazione, di stili di vita in cui il consumo di alcolici risulta eccessivo, di come rieducare gli adulti a un consumo consapevole di ciò che mangiamo e beviamo e di come educare soprattutto i giovanissimi.
In questo articolo vogliamo fare una breve disamina della questione “cultura enoica a scuola” cercando di fornirvi gli spunti per permettervi di farvi una vostra idea a prescindere dalla nostra posizione.
Il ddl 2254/16 del senatore pugliese Dario Stefàno vuole introdurre nelle scuole italiane primarie e secondarie di primo e secondo grado l’insegnamento della disciplina obbligatoria “Storia e Civiltà del vino”; con una premessa robusta e la partecipazione e il sostegno di Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, Paolo Castelletti segretario generale dell’Unione Italiana Vini e Isabella Marinucci responsabili area vini di Federvini, il ddl sta ricevendo il plauso di molte associazioni di categoria e degli stakeholder coinvolti in un settore che sta vedendo l’Italia primeggiare sull’altro grande produttore storico di vini a livello mondiale, la Francia.
Se la legge venisse approvata, toccherebbe al MIUR (il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), attraverso un’apposita commissione, definire i programmi didattici e avviare i corsi di formazione per i docenti interessati all’insegnamento; i programmi didattici dovranno attenersi alla trattazione delle seguenti tematiche che citiamo direttamente dal testo del ddl :
a) genesi, mitologia, storia e metastoria del vino nella cultura euro-mediterranea;
b) geografia italiana dei vitigni autoctoni e alloctoni e dei vini derivati;
c) la coltura della vite, la valutazione delle uve e il processo di produzione del vino;
d) il vino ed i suoi derivati nella storia, nel presente e nel futuro.
Il testo del ddl, peraltro breve, consta di una corposa premessa sulle origini e sulla storia del vino e dell’intreccio culturale e sociale di cui è da sempre protagonista nell’area mediterranea; segue un riassunto del disegno di legge vero e proprio, spiegato nelle sue parti; quindi, arriva il testo composto da sei articoli che prendono in esame l’istituzione dell’insegnamento della materia, docenze e criteri di accesso alle docenze, i corsi di formazione e aggiornamento, i programmi didattici, la copertura finanziaria e, infine, l’entrata in vigore.
Dal lancio del disegno di legge, il 24 marzo 2016, avvenuto in conferenza stampa al Senato della Repubblica, sono state diverse e divergenti le opinioni e le tesi apparse sui media; c’è stato chi si è chiesto perché non introdurre anche l’insegnamento di “storia e civiltà dell’olio d’oliva” oppure coloro che si sono chiesti perché un Ministero che penalizza la storia dell’Arte, i licei musicali e i conservatori, debba inserire nei programmi scolastici materie di insegnamento poco canoniche.
L‘AICAT, Associazione Italiana Club Alcologici Territoriali, già attiva sul fronte del contenimento di iniziative legate alla diffusione della cultura del vino e dell’abuso di sostanze alcoliche, ha più volte esternato le sue motivazioni, fra le quali un forte impatto socio-sanitario, contro proposte di legge simili.
Il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), ente vigilato dal MIPAAF, ci tiene invece a precisare che “una campagna di comunicazione rivolta ai giovani, che faccia conoscere la ricchezza e la varietà di un prodotto così fortemente radicato nella cultura dell’Italia e dei suoi territori ed educhi contemporaneamente ad un consumo responsabile, deve essere salutata con favore. Demonizzare il vino è un errore; farlo apprezzare fa sì che se ne desideri la qualità e non la quantità.” .
Il 16 aprile 2015 l’Istat ha pubblicato i dati sull’uso e abuso di alcool in Italia nel 2014, le cifre sono queste: il 63% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nell’arco dell’anno. Dagli undici anni in su, il 50,5% della popolazione beve vino, il 45,1% beve birra, il 39,9% aperitivi alcolici, amari, superalcolici o liquori. Fra il 2005 e il 2014 la percentuale di consumatori giornalieri è scesa dal 31% al 22,1%, ma è aumentata la percentuale di consumatori occasionali (dal 38,6% al 41%) e di bevitori al di fuori dei pasti (dal 25,7% al 26,9%).
Tralasciando le altre percentuali, comunque consultabili sul sito dell’Istat, la fascia di popolazione più a rischio per il binge drinking (assunzione smodata di alcol finalizzata al raggiungimento dell’ubriachezza) è quella fra i 18 e i 24 anni con una percentuale del 14,5%; inoltre, il 21,5% degli adolescenti fra gli 11 e i 17 anni e il 17,3% delle adolescenti seguono comportamenti che eccedono le raccomandazioni sul consumo di alcol.
Il confronto con la Francia e le sue produzioni vitivinicole sembra quasi sempre obbligatorio, alcuni media ci hanno raccontato che esiste una legge francese che ha portato già da tempo l’insegnamento della storia del vino nelle scuole d’Oltralpe.
La legge Évin è stata emanata nel 1991 ed è nata per regolamentare il consumo e la pubblicità di alcol e tabacchi; recentemente è stata nuovamente messa in discussione per i molti aspetti critici scaturiti dall’avvento non previsto dei social media e di nuovi modi di fare advertising e content marketing per i brand.
Secondo indagini statistiche, fra il 1990 e il 2010 il consumo d’alcol sul territorio francese è calato del 20% proprio grazie alla promulgazione di questa legge il cui apporto fondamentale sembra sia stato slegare la cultura e la tradizione del vino dalle tipiche rappresentazioni pubblicitarie che esaltano l’estremizzazione di comportamenti edonistici che possono scaturire dal consumo di alcol.
In medio stat virtus
(Etica Nicomachea, Aristotele)